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Recensione della Battaglia di Pavia

Franco Piccinini ci illustra delle opere che trattano della Battaglia di Pavia.

Data di pubblicazione:

Poiché ricorrono i cinquecento anni della battaglia di Pavia, combattuta tra gli eserciti di Francesco I e Carlo V, sono state messe in atto numerose iniziative per ricordare degnamente l’avvenimento. Oltre alle mostre e alle rievocazioni storiche, non potevano mancare numerosi libri che parlassero dell’avvenimento. Nelle librerie di Pavia sono apparsi libri di storia, versioni a fumetti, libri d’arte e, naturalmente, anche romanzi. Giusto per ricordarne qualcuno:

  • Il Disastro di Pavia (1525: la sconfitta di Francesco I in Italia) – di Jean Giono – ed. Settecolori – resoconto scritto da un autore francese di idee pacifiste, noto da noi per L’ussaro sul tetto e L’uomo che piantava gli alberi

  • Le armi del diavolo. Anatomia di una battaglia: Pavia, 24 febbraio 1525 di Marco Scardigli – UTET– opera di un esperto novarese di storia militare

  • La battaglia di Pavia. Gli arazzi di Capodimonte di Chiara Macor e Fabiana Fiengo – ed Comix – Libro a fumetti basato sui famosi arazzi

  • La battaglia di Pavia a fumetti – ed. Effigie – di SergioToppi (disegnatore) e Eugenio Ventura (sceneggiatore, pseudonimo di Mino Milani) include la biografia di Giovanni delle Bande Nere

  • Fanfulla – ed. Lizard – libro a fumetti di Hugo Pratt (disegnatore) & Mino Milani (sceneggiatore) ambientato nel 1529, dopo il sacco di Roma e l’arrivo della peste

  • Da Marignano a Pavia: le guerre italiane di Francesco I (1515-1525) di Luigi Casali e Marco Galandra – ed Univers – opera di due studiosi pavesi esperti della storia locale

  • Storia avventurosa di Pavia di Mino Milani – a cura di Giovanni Giovannetti e Luisa Voltán – ed. Effigie – non poteva mancare Milani in questo elenco, per la sua pavesità e la sua passione di divulgatore storico.

Oltre a questi segnalo a chi segue questa rubrica il lavoro di Paolo Rovati, medico e scrittore, ma soprattutto autenticamente pavese. Il suo è un breve romanzo storico, pubblicato per la prima volta nel 2015 e ora riproposto, dopo una opportuna revisione essendo passati dieci anni. Il titolo originale “Una zuppa da re” è stato cambiato in “25 febbraio 1525”, per richiamarsi al giorno della battaglia, ed è stata aggiunta una prefazione dello storico Luigi Casali.

Paolo Rovati è un chirurgo, dunque un collega medico, che per circa un trentennio ha operato all’Ospedale di Stradella e oggi svolge la propria attività come Libero Professionista. Ci accomuna il desiderio di conciliare la passione per la letteratura con quella per la medicina. Ma mentre io sono più portato al gotico, al fantastico, alla fantascienza e alla divulgazione scientifica, Rovati preferisce dedicarsi alla Storia e alla narrativa realistica, con qualche incursione nel romanzo poliziesco. In questo sembra voler seguire la strada tracciata da Mino Milani, di cui era amico e che considera giustamente tra i suoi maestri. Qui si cimenta in un vero e proprio romanzo storico. Seguendo la traccia dei grandi scrittori del Romanticismo, da Walter Scott a Dumas fino al nostro Manzoni, mescola in una trama a intreccio personaggi storici famosi, eventi realmente accaduti e personaggi da lui inventati: minimi, popolari, che non appariranno mai nei libri di storia, ma le cui azioni hanno influito sulla Grande Storia.

Senza anticipare troppo della trama, posso dire che nel corso del romanzo si descrivono le conseguenza di una battaglia che nel volgere di due ore cambierà il volto dell’Europa e dell’Italia, sebbene la descrizione dello scontro sia tenuta sullo sfondo e venga percepita dal lettore più che altro attraverso le vicende personali dei protagonisti. Il combattimento avviene nel Parco del Castello Visconteo: era allora un’area boschiva, riserva di caccia dei Visconti, che avevano una piccola residenza nel castello di Mirabello (tuttora abbastanza ben conservato ma bisognoso di restauri e di una adeguata destinazione d’uso). Alla fine i francesi perdono almeno seimila uomini, gli imperiali poche centinaia, Francesco Primo di Valois Re di Francia è fatto prigioniero e l’imperatore Carlo V diventa il padrone dell’Europa, dell’Estremo Oriente e delle Americhe, al punto di poter affermare “sul mio impero non tramonta mai il sole”. Ma l’Imperatore è soprattutto il costruttore di una nuovo ordine mondiale (vi suonano familiari queste parole?). Lo scontro determina inoltre un cambiamento nella concezione stessa della battaglia. Gli eserciti medievali e rinascimentali erano divisi in tre parti: cavalleria, picchieri e truppe con qualche sorta di arma da tiro: archi, balestre o eventualmente armi da fuoco. In qualche battaglia poteva esserci anche dell’artiglieria, ma queste erano le “grandi tre” e le vittorie dipendevano spesso dalla cavalleria. Qui invece, per vincere le artiglierie e gli archibugi si rivelano essenziali. Ricordo a questo proposito, di passaggio, il film di Ermanno Olmi “Il mestiere delle armi”. Il film racconta gli ultimi giorni di vita del condottiero Giovanni delle Bande Nere, pseudonimo di Ludovico di Giovanni De’ Medici, un soldato di ventura italiano al servizio dello Stato Pontificio, presente anche alla battaglia di Pavia. Per quanto ferito, sopravvisse allo scontro, ma poi venne di nuovo colpito a una gamba presso Mantova da un “falchetto” (una sorta di cannone leggero in grado di forare le armature) e morì di cancrena nonostante l’amputazione dell’arto. Che le armi da fuoco avrebbero inevitabilmente cambiato per sempre il modo di combattere lo aveva ben capito anche Ludovico Ariosto, che ne depreca l’uso nel suo “Orlando Furioso” (1516) grazie al personaggio fantastico di Cimosco, un malvagio re-negromante che ha creato con l’aiuto delle arti magiche un archibugio (ovviamente in anticipo sui tempi) vincendo così ogni battaglia.

Ma i cambiamenti epocali non si riferiscono solo al sistema politico e militare. Durante il periodo della battaglia muoiono personaggi famosi: il maresciallo di Francia Monsieur de La Palice, Bonnivet, La Trèmoille… ma non per le ferite. Si sa che qualcuno li ha uccisi, ma chi può essere stato? È un fatto storico di cui gli studiosi non sanno dare una spiegazione precisa. La risposta trovata da Rovati si lega a un altro di questi grandi cambiamenti: l’arrivo della lue e della peste. La guerra in Italia, grazie allo spostamento di grandi masse di uomini accompagnato da saccheggi e stupri, ha portato infatti alla diffusione di malattie epidemiche, contro cui al tempo non c’era alcuna difesa. La prima fu la sifilide, ma tre anni più tardi arrivò anche la peste (grazie al saccheggio di Roma, che fu messa a ferro e fuoco per ben 9 mesi). Il termine fu coniato dal letterato e scienziato Gerolamo Fracastoro giusto nella prima metà del 1500: nella sua opera “Syphilis sive de morbo gallico”, narra del pastore Sìfilo che, dopo avere offeso Apollo, venne punito con una terribile malattia deturpante che da lui prenderà il nome (ma quanto erano permalosi gli dei greci!). La malattia venerea era definita malfrancese o mal celtico, perché si riteneva portata ad alcune prostitute napoletane, che si sarebbero contagiate dai soldati francesi. Ma il morbo ai medici francesi era noto come mal napoletano o morbo italico, perché lo ritenevano causato dalle donne italiane. La triste usanza di violentare le donne da parte dei militari (che prosegue ancora oggi, senza sostanziali cambiamenti, se non in peggio) faceva parte della normale vita del soldato di allora e si lega al romanzo di Rovati per la presenza di una misteriosa figura femminile. È una giovane donna che qualcuno ha visto fuggire di nascosto dal campo francese, una vedova che ha subito violenza ed è in cerca di vendetta. Paolo Rovati prende ispirazione per questo personaggio da una misteriosa dama a cavallo vestita di rosso, presente in uno degli arazzi di Capodimonte raffiguranti la battaglia. Gli storici non sono riusciti a capire chi fosse, ma Rovati ci dà una sua spiegazione (che non vi posso anticipare). Anche Mino Milani ha affrontato la stessa vicenda in uno dei suoi ultimi romanzi: “La dama in rosso” (Effigie ed. 2022). So che i due scrittori, essendo amici ed entrambi appassionati di storia, s’erano incontrati e avevano discusso su questa figura misteriosa; alla fine, ognuno aveva deciso di offrire una diversa spiegazione, rendendo così le due trame molto diverse. Troverete anche la zuppa pavese nel romanzo di Rovati. Sembra infatti che ci sia un fondamento storico nella leggenda secondo cui il re Francesco I, tenuto prigioniero, venne rifocillato da un contadino con il meglio di quello che il poveraccio aveva in casa: un po’ di pane secco, del brodo caldo e un uovo di gallina versato sopra. Ed ecco nata la soupe à la pavoise, cioè la süpa a la pavesa. Così si può dire che la battaglia ha influenzato profondamente anche le usanze alimentari…

 

Franco Piccinini (Asti, 1954), si è laureato a Pavia e fino a poco tempo fa ha esercitato la professione di medico. Grande esperto e cultore di fantascienza, ha pubblicato i romanzi “Ritorno a Liberia” (tratto dal suo primo racconto), “Il tempo è come un fiume”, il saggio “Scienza medica e fantasie scientifiche” (finalista al Premio Italia 2012 e vincitore del Premio Vegetti 2018), oltre a vari articoli su Nova SF* e racconti su Futuro Europa. Di recente ha pubblicato il saggio “Mondi Sotterranei” per i 700 anni di Dante. Nel 2011 ha iniziato a collaborare con l’editore Solfanelli e con Delos Digital. E’ un grande amico della Biblioteca Bonetta e ha precedentemente scritto per il nostro sito anche i seguenti contributi:

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