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RIFLESSIONI SU UN GATTO QUANTICO

Franco Piccinini ci offre delle riflessioni riguardanti il gatto di schrödinger.

Data di pubblicazione:

La scienziata e l’artista

Ho già avuto modo di recensire i libri di Gabriella Greison in passato. Oltre ad avere una laurea in fisica nucleare, è anche una formidabile divulgatrice e una performer teatrale di tutto rispetto. Credo anzi che la sua vera vocazione sia proprio quella di narratrice e divulgatrice. Nelle vesti di scrittrice e di attrice di teatro, è riuscita a diffondere storie, idee e concetti della fisica, rendendoli interessanti anche per chi non ama in modo specifico certi argomenti. Nel suo romanzo di successo “L’incredibile cena dei fisici quantistici” (Longanesi 2016 – Salani 2022) ha raccontato un episodio così curioso da sembrare inventato, mentre invece è tutto vero e riportato nei libri di storia. [se siete interessati, troverete la descrizione a questo link: https://biblioteche.comune.pavia.it/blog/unincredibile-cena-di-gala-lopera-di-gabriella-greison ]

Fa parte di un ciclo di opere narrative (del tipo romanzo-saggio) dedicate ai grandi fisici del ventesimo secolo, uomini e donne, coloro che hanno creato la fisica quantistica. Nel 2020 è uscita la sua ultima fatica letteraria, prima in libreria e poi a teatro: “Ucciderò il gatto di Schrödinger” (15 settembre 2020). Credo che sia recuperabile in streaming tramite You Tube, se volete vederla recitare. Ma veniamo al romanzo. Oramai siamo in procinto di entrare in quella che gli scienziati chiamano la Seconda Rivoluzione Quantistica. Qualcuno sicuramente chiederà “sì, ma a che mi serve?”. Ebbene, sappiate che la Prima Rivoluzione ha portato tra le nostre mani i laser, i computer, i superconduttori, i viaggi spaziali, le risonanze magnetiche e gli smartphone. Tra le altre cose. Fra qualche anno vedremo gli effetti pratici della Seconda, ma qualcosa sta già emergendo: l’Intelligenza Artificiale, tanto per dirne una.

Gabriella Greison ha sentito l’esigenza di dare una veste narrativa alla nuova fisica quantistica, rendendola umana e alla portata di tutti, ed è così che è uscito “Ucciderò il gatto di Schrödinger”. Si tratta d’un racconto incentrato sulla vita di Erwin Schrödinger, il fisico austriaco premio Nobel nel 1933, forse colui che più di tutti ha contribuito al nascere della meccanica quantistica. Emerge dalle pagine del romanzo la vita di una delle grandi menti del Ventesimo Secolo, vissuta un po’ sopra le righe; inoltre si evidenzia il contrasto a volte aspro tra i seguaci di Einstein, come lo stesso Schrödinger, che cercavano una spiegazione del tutto attraverso la teoria del cosiddetto “campo unificato”, e gli innovatori come Wernher Heisenberg, che con il suo principio di indeterminazione stava scardinando tutte le certezze della fisica atomica precedente. La rivalità tra le due scuole di pensiero è stata raccontata numerose volte, anche dal premio Nobel Carlo Rovelli, che è a sua volta un ottimo divulgatore ma manca, ovviamente, dell’allure di Greison. Ne ho già parlato qui: [http://biblioteche.comune.pv.it/site/home/news/il-tempo-i-quanti-e-le-isole-nordiche-carlo-rovelli.html ]

Pochi anni dopo, con l’avanzata del nazismo in Germania e poi in Europa, i grandi fisici sarebbero stati costretti a schierarsi gli uni contro gli altri … ma per motivi che nulla hanno a che vedere con la fisica. Greison ha fatto le sue ricerche a Vienna, dove Schrödinger è nato, ha vissuto e dove è conservato l’archivio delle sue meditazioni, arrivando a creare la storia romanzata della vita dello scienziato, che ha nel paradosso del gatto non solo uno dei momenti cardinali della nuova scienza, ma anche una significativa metafora di vita.

Povero micio!

Secondo il padre della meccanica quantistica, l’esperimento è semplice da descrivere. Immaginate un contenitore chiuso, senza finestre per guardare dentro, in cui un gatto è collegato a un sistema fisico che ne può determinare la morte. La povera bestiola è stata chiusa nella scatola assieme a una fiala di gas velenoso che può rompersi in determinate circostanze: vivrà o morirà? Supponiamo che ci sia un meccanismo (col quale il gatto non può ovviamente interferire) che può fare o non fare da grilletto all’emissione del gas venefico. Per entrambe le situazioni la probabilità è esattamente del 50%. Nell’arco di tempo in cui il gatto sta nella scatola (diciamo almeno un’ora) il meccanismo può scattare e causare il rilascio del veleno oppure no, con uguale probabilità. Secondo Schrödinger, il meccanismo dovrebbe essere un contatore Geiger, che rileva il decadimento di alcune particelle subatomiche radioattive e in base a questo scatta. Visto che, prima di aprire la scatola, è impossibile sapere se il gas sia stato rilasciato o meno, fintanto che la scatola rimane chiusa il gatto si trova in uno stato indeterminato: cioè può essere sia vivo, sia morto. Solo aprendo la scatola questa “sovrapposizione di stati” si risolverà, in un modo o nell’altro. Essendo l’osservatore con il suo intervento a determinare il risultato dell’osservazione stessa, di fatto la vita del gatto è nelle sue mani. Si tratta di una esemplificazione (volutamente paradossale) del “principio di indeterminazione” di Wernher Heisenberg, il quale sosteneva l’incertezza della meccanica quantistica: è l’osservatore, al momento di effettuare un rilevazione, a determinare le caratteristiche della particella esaminata (carica, spin, posizione). Per la verità Erwin Schrödinger aveva formulato il paradosso del gatto proprio allo scopo di mettere in evidenza la debolezza logica di questo principio del collega Heisenberg. Invece, guardate un po’ come vanno a finire le cose nella ricerca scientifica, ha finito per diventare uno dei più noti simboli della nuova scienza, in quanto descrive perfettamente gli aspetti meno intuitivi della teoria stessa. Il fisico austriaco in realtà non possedeva un gatto e probabilmente non amava troppo i felini, altrimenti avrebbe potuto immaginare l’esperimento con una cavia o un topo di laboratorio (che avevano tra l’altro il “pregio” di possedere una sola vita e non sette come i gatti). La cosa importante è che chi osserva la scatola dal di fuori non sa cosa accade al suo interno e quindi, dopo un’ora, non è in grado di dire se il gatto sia vivo o morto: al massimo può dire quale è la probabilità di ciascuna delle due situazioni, ovvero il 50 per cento per ognuna. Ovviamente, per sciogliere il dubbio, l’unica cosa da fare è aprire la scatola e guardare dentro: nel farlo l’indeterminazione viene meno e si acquisisce una certezza circa lo stato del gatto. Fin qui è tutto chiaro, vero?

I segreti del Multiverso

Ma ecco il paradosso. Poiché non è dato sapere se il gatto dentro la scatola è vivo o è morto, è lecito allora dire che il gatto è contemporaneamente vivo e morto, con la stessa probabilità. E proprio questo è l’assunto alla base del paradosso di Schrödinger. Ovviamente, fino a che si parla di un gatto l’idea di considerarlo come vivo e morto nello stesso tempo non ha alcun senso. Quando però si parla delle particelle di cui sono fatti gli atomi – cioè gli elettroni, i protoni e i neutroni – allora l’idea, apparentemente strampalata, di pensare che si possano trovare nello stesso istante in tanti stati diversi si rivela quella vincente per spiegare i fenomeni che le coinvolgono. Le strane regole delle particelle atomiche non valgono né per i gatti né per tutti gli oggetti del mondo che ci sta intorno: il paradosso del gatto è perciò un modo colorito per far capire che il mondo degli atomi è davvero un posto dove succedono cose molto diverse e molto strane. Tutta teoria? Spiacente, no. A partire dagli anni 2000 sono già stati condotti diversi esperimenti che hanno dimostrato la veridicità del paradosso di Schrödinger: in Austria, in Cina e negli USA. A proporre oggi una nuova possibile teoria per cui il famoso gatto è sempre in un unico stato, una volta osservato, sono stati i fisici teorici dell’Università Autonoma di Barcellona, secondo cui la spiegazione si basa in gran parte sul presupposto che ogni possibilità di un sistema quantistico costituisca essa stessa un universo a se stante, un concetto noto come teoria dei molti mondi o del multiverso. Fu proposta dal fisico americano Hugh Everett III negli anni Cinquanta, ma in effetti è una teoria vecchia come la fantascienza; tra i primi a parlarne, prima della Seconda Guerra Mondiale, ci furono Francis Stevens (pseudonimo di Gertrude Bennet) in Le teste del Cerbero (The heads of Cerberus, 1919) e Murray Leinster in Bivi nel tempo (Sidewise in time, 1934), praticamente in contemporanea con le teorie di Einstein e soci. Da allora vi è stato un profluvio di opere sul medesimo concetto. Non posso certo elencarli tutti, ma considero eccellenti esempi “Anni senza fine” (City, 1952) e “Anello intorno al sole” (Ring around the sun, 1952) di Clifford Simak, “I mondi dell’Impero” (Worlds of the Imperium, 1962) di Keith Laumer oppure “Il difficile ritorno del signor Carmody” (Dimension of miracles, 1968) di Robert Sheckley. Il termine attuale “Multiverso” invece appartiene allo scrittore britannico Michael Moorcock, che lo utilizzò a partire dagli anni Sessanta. Comunque, se non amate le letture di questo tipo, troverete una buona esemplificazione nel recente film “Spiderman – No way home”, in cui il nostro amichevole Uomo Ragno di quartiere si trova all’improvviso davanti due altre copie di se stesso, provenienti da altri universi. Il pensiero dei fisici di Barcellona è stato pubblicato in uno studio apparso sulla rivista “Physical Review X”. La nuova proposta si basa sul concetto che ogni possibilità di un sistema quantistico costituisca un universo a se stante. In particolare, i fisici hanno presupposto che, data la complessità dell’universo che circonda il gatto di Schrödinger, che include la scatola, gli osservatori, l’edificio in cui si trovano eccetera, le interazioni in rapida crescita tra l’ambiente e gli stati vivo e morto significano che i due non appariranno simultaneamente.

Poiché gli oggetti della vita quotidiana contengono un numero enorme di particelle, questo spiega perché il multiverso non è direttamente percepibile per noi”, scrivono gli autori nell’articolo. Problema risolto? Non proprio. Sebbene la nuova teoria ci aiuti a visualizzare la scelta di un singolo stato da una gamma di innumerevoli possibilità, rimane irrisolta la questione se e quanto la casualità quantistica possa esercitare un’influenza in una realtà macroscopica come la nostra.

Letture consigliate

Oggi il gatto di Schrödinger è entrato nel frasario comune e chiunque crede di conoscerlo: è presente in una dozzina di film dell’ultimo decennio (tra cui quello a cui accennavo prima), in diverse serie tv di successo e spopola ovviamente su YouTube. In effetti è l’argomento di fisica più rappresentato fuori dagli ambienti scientifici. C’è cascata anche la segretaria del PD Elly Schlein, che ha parlato a sproposito di “salto quantico”. Ovviamente ne parlano anche molti scrittori di fantascienza, ma anche loro non sempre con proprietà. Insomma, tutti pensano di conoscerlo, ma nessuno sa realmente cosa sia. Soprattutto nessuno conosce il personaggio di Erwin Schrödinger, uno scienziato anni luce lontano dall’immagine comune: amante della bella vita, grande seduttore di bellezze femminili, bigamo, anticonformista, filosofo, gran camminatore, uomo dai principi etici altissimi, promotore delle ricerche sulla biologia dell’evoluzione, molto lontano dagli stereotipi e dalla politica, a suo modo antinazista e per questo costretto a rifugiarsi all’estero per quasi tutta la sua vita (sebbene non fosse ebreo). La sua amicizia con Albert Einstein, i computer quantistici, l’intelligenza artificiale, la mente quantica, i mondi paralleli, l’entanglement quantistico, gli esperimenti mentali, la sincronicità: tutto questo c’è in “Ucciderò il gatto di Schrödinger”, il romanzo pubblicato da Mondadori. Una storia che non è mai stata raccontata, e che va a tutto merito di Gabriella Greison.

In letteratura ci sono molti autori che hanno fatto riferimento al famoso micio. Per esempio Terry Pratchett ha liquidato la questione a suo modo, in “Streghe di una notte di mezza estate” (Lords and ladies, 1992), dove tra altre disavventure “saltano” le pareti divisorie tra gli universi contenuti nel multiverso. Sir Terry Pratchett afferma: “Tecnicamente un gatto chiuso in una scatola può essere vivo oppure no. Non lo si può sapere finché non guardi. In effetti l’atto stesso di aprire la scatola determinerà lo stato del gatto, anche se in questo caso c’erano tre stati ben distinti in cui il gatto poteva trovarsi: vivo, morto o incazzato nero”.

In effetti un gruppo di professori e allievi di un liceo pugliese si sono domandati: e se il gatto reagisse alle radiazioni e al veleno come Bruce Banner? Salterebbe fuori dalla scatola un felino verde, come l’Incredibile Hulk, molto ma molto arrabbiato con lo scienziato [Docenti: Vincenzo Carafa , Sara Luceri – Scuola: Liceo Quinto Ennio – Gallipoli https://artandscience.infn.it/opera/schrodinger-sono-ancora-vivo/]

Uno scrittore dell’orrore ha invece ipotizzato che in fondo, se il gatto non è né morto né vivo, non può essere che uno zombi, un morto vivente, cioè come quello che compare in “Pet Sematary” (1983) di Stephen King.

Su questo tema si sono esercitati molti dei più noti scrittori di fantascienza, giocando quasi sempre sullo schema degli universi paralleli e delle realtà alternative, non sempre con risultati brillanti, anche quando si tratta di autori molto famosi. Eccone un breve elenco:

Ursula K. Le Guin – “Il gatto di Schrödinger” (Schrödinger’s Cat 1985): è un raccontino surreale sulle visioni di uno scrittore, ispirato un po’ a Kafka e un po’ a Ballard, che non varrebbe la pena di ricordare se non iniziasse con un gatto che entra in una scatola e poi svanisce…

Robert A. Heinlein – “Il gatto che attraversa i muri” (The Cat Who Walks Through Walls: A Comedy of Manners, 1985) Qui il protagonista assoluto è un gatto rosso, che ha la capacità di attraversare le barriere che separano gli universi, trascinando lo scrittore stesso in mondi dove si trova di fronte a versioni “alternative” dei romanzi da lui scritti in passato (come per esempio “La Luna è una severa maestra”, “Straniero in Terra Straniera” e “I Figli di Matusalemme”). Per quanto tenuta su un tono piuttosto ridanciano, questa storia del vecchio maestro della SF classica non è male, anche se i lettori che hanno conosciuto e amato i testi originali proveranno un certo fastidio nel vedere lo scrittore che sputa nel piatto dove sta mangiando.

Frederik Pohl – “L’invasione degli uguali” (The Coming of the Quantum Cats, 1986). Il romanzo inizia con Nicky De Sota, un timido broker di mutui che vive in un’America diventata fascista; costui viene indagato da una sgradevole agente della FBI (che nel suo mondo è diventata a tutti gli effetti una brutale polizia segreta). Da qui iniziano le sorprese, perché in un laboratorio governativo segreto opera qualcuno che è sempre Dominic DeSota, ma di un altro universo. In una sarabanda di avventure tra il thriller e l’umoristico, Pohl ci coinvolge con una serie di personaggi che sono tutti Nick De Sota, ma provenienti da universi differenti. Il titolo originale americano si spiega propria grazie alla teoria del multiverso, legata al paradosso del gatto.

George Alec Effinger – “Il gattino di Schrödinger” (Schrödinger’s Kitten,1988) probabilmente il migliore tra quelli che ho letto. Si svolge nel prossimo futuro all’interno del Budayeen, il quartiere del vizio e degli affari d’una enorme megalopoli medio-orientale. Potete immaginarvela come una fusione di Islamabad, Teheran, Il Cairo e Beirut, con gente che viene da tutto il mondo e con scienza occidentale e tecnologia avanzata mescolate ad antiche usanze mussulmane. La storia segue una donna di nome Jehan Fatima Ashûfi, attraverso varie realtà: in una viene violentata quando è ancora una bambina per poi essere abbandonata dalla sua famiglia e morire sola, in un’altra è condannata a morte per aver ucciso il suo potenziale stupratore e non essere in grado di pagare il “prezzo del sangue” alla sua famiglia. In una terza realtà diventa una fisica teorica e compagna di noti scienziati tedeschi che vanno da Heisenberg a Schrödinger: qui impedisce ai nazisti di sviluppare armi nucleari durante la seconda guerra mondiale, semplicemente inoltrando documenti scientifici incomprensibili ai politici chiave che esaminavano l’idea. La ragazza è consapevole dell’esistenza di queste realtà, ma le percepisce come visioni e presume possano giungerle da Allah. In diversi punti della storia, la Jehan adulta di alcune realtà fatica a conciliare la sua educazione religiosa e le sue “visioni” con la sua professione scientifica; alla fine, tuttavia, una Jehan anziana trova soddisfazione nella spiegazione della teoria di Hugh Everett sulla possibilità di realtà alternative, che si adatta alle sue esperienze personali.

Fritz Leiber – “I tre tempi del destino” (Destiny times three, 1945). Apparve per la prima volta su Astounding Science Fiction nel marzo e aprile del 1945 (esattamente 10 anni dopo l’enunciato paradosso di Schrödinger). Presenta un’affascinante esplorazione del concetto di realtà multiple, legato al Motore della Probabilità, un’invenzione che ha reso le diverse linee temporali una realtà. I tre mondi diversi descritti in dettaglio sono, in realtà, tre varianti della nostra Terra; tre dimensioni parallele la cui sorte è governata da una macchina, che non si trova nel nostro spazio-tempo ma in una zona extra-dimensionale. Per quanto il gatto di Schrödinger non sia mai nominato esplicitamente, la sua presenza si fa spesso sentire nel corso del romanzo, grazie anche al fatto che Leiber era un gattofilo almeno quanto Heinlein. La narrazione parte da Joel Latham, un fisico che scopre un metodo per visualizzare versioni alternative del futuro. All’inizio, la Terra (la nostra Terra) è sull’orlo della distruzione a causa di una serie di esplosioni atomiche (c’erano appena state Hiroshima e Nagasaki, quando il romanzo fu concepito). Joel, insieme a sua moglie e a un caro amico, decide allora di usare la sua invenzione per dare un’occhiata a vari potenziali futuri, alla ricerca d’una via d’uscita. Quello che trovano sono tre futuri distinti, ognuno come risultato d’un proprio insieme di circostanze. Il primo futuro è quello in cui l’umanità si è distrutta, dando vita a una Terra desolata e sterile. In questo futuro il mondo è preda di un gelido inverno perenne (Leiber vuole alludere a Ragnarok, la fine del mondo nei miti scandinavi) e il mondo è dominato … dai gatti. I felini controllano i pochi umani superstiti con la telepatia e li trattano come servitori oppure come loro “pets”, piccoli animali domestici: in un certo senso, si sono presi la loro rivincita su Schrödinger. Il secondo futuro è una società utopica in cui l’umanità si è evoluta verso un livello superiore di coscienza e di pace, mentre il terzo futuro è dominato da un regime totalitario. Quello dei tre mondi che è dominato da una spietata dittatura militare si maschera sotto la forma di una dominazione religiosa, che perseguita ogni forma di ricerca scientifica, se non è finalizzata alla guerra e al dominio, tanto che gli scienziati sopravvissuti sono costretti a formare una sorta di fratellanza stregonesca segreta per poter continuare le loro ricerche. Va ricordato che l’oscurantismo antiscientifico era un tema molto sentito nella letteratura e nella fantascienza negli anni della Seconda Guerra Mondiale: molti scienziati erano stati costretti a fuggire dall’Europa, la Germania di Hitler sembrava voler instaurare una sorta di neo – paganesimo e la scienza sembrava davvero finalizzata solo a progettare nuove armi. Ne aveva parlato anche Heinlein in “Rivolta 2100” (If this goes on…, 1940), ma Leiber fa un passo in più e si auto – cita, descrivendo il mondo distopico da lui già immaginato due anni prima in “L’alba delle Tenebre” (Gather, darkness!, 1943). Ora questo mondo oscuro sta per invadere il mondo più civile e progredito, grazie proprio al motore di probabilità, e se ci riuscirà ne deriverà una catastrofe senza precedenti che trasformerà non solo uno dei tre mondi, ma tutta la trama del reale in un immenso deserto di morte. Leiber spinge i lettori a riflettere sulle scelte che facciamo e sul potenziale impatto che tali scelte possono avere sulla traiettoria della nostra vita e del mondo che ci circonda. In fondo questo è il concetto scientifico di base: l’osservatore influenza la cosa osservata, nel bene o nel male.

Anche gli altri autori giocano quasi sempre sul tema degli universi paralleli e delle realtà alternative. Un breve elenco dovrebbe comprendere:

Florence Delaporte and Jean-Jacques Girardot – Le chat de Schrödinger (inedito, 2009)

Greg Bear – Schrödinger’s Plague (1992 – inedito)

Rudy Rucker – Schrödinger’s Cat (inedito, 1981)

Kij Johnson – Schrödinger’s Cathouse (inedito, 1993)

Robert Anton Wilson: Schrödinger’s Cat Trilogy (1988) [raccolta inedita che contiene ben tre romanzi sugli universi paralleli: 1) The Universe Next Door (1979); 2) The Trick Top Hat (1981); 3) The Homing Pigeons (1981)]

Lukha B. Kremo – “Il gatto di Schrödinger e altre storie” (2021). Qui per finire possiamo finalmente elencare un autore italiano, con un racconto di tutto rispetto, racchiuso in una antologia di storie nel segno della distopia.

Ritengo però che il migliore tra gli italiani sia stato Carlo Agricoli, classe 1947. Senese DOC, esperto di storia locale, membro del Consiglio della Contrada Priora della Civetta, oltre a varie ricostruzioni storiche del medioevo toscano, ha scritto con “L’uccisione del gatto di Schrödinger” (2008) un racconto perfetto, che descrive con proprietà l’esperimento proposto dallo scienziato austriaco (a dimostrazione che non occorre essere scienziati per scrivere della buona fantascienza a sfondo scientifico), ma ambientandolo in una Siena del prossimo futuro e condendolo con dosi generose di umorismo toscano. Fu scelto come testo di apertura per una grossa antologia di autori italiani, curata da Ugo Malaguti e Lino Aldani, uscita come n°50 della rivista Futuro Europa (immodestamente c’ero dentro anch’io, con un racconto sui paradossi temporali che sarebbe poi diventato il mio romanzo Il tempo è come un fiume).

Franco Piccinini

(ringrazio il professor A. Cersosimo per la revisione della parte scientifica e per avermi indicato un testo italiano che avevo dimenticato)


Franco Piccinini (Asti, 1954), si è laureato a Pavia e fino a poco tempo fa ha esercitato la professione di medico. Grande esperto e cultore di fantascienza, ha pubblicato i romanzi “Ritorno a Liberia” (tratto dal suo primo racconto), “Il tempo è come un fiume”, il saggio “Scienza medica e fantasie scientifiche” (finalista al Premio Italia 2012 e vincitore del Premio Vegetti 2018), oltre a vari articoli su Nova SF* e racconti su Futuro Europa. Di recente ha pubblicato il saggio “Mondi Sotterranei” per i 700 anni di Dante. Nel 2011 ha iniziato a collaborare con l’editore Solfanelli e con Delos Digital. E’ un grande amico della Biblioteca Bonetta e ha precedentemente scritto per il nostro sito anche i seguenti contributi:

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